Tutto qui

27 Maggio 2007

C’era un ragazzo incinto che per fare compagnia a quello che portava in grembo comincio a raccontargli storie. Erano storie d’amore, storie di vita e storie di morte, storie che forse non erano neanche così interessanti ma è importante l’affetto con il quale le si raccontano.
La gestazione è stata lunga, quasi tre anni, era luglio del duemilaquattro quando accortosi del suo stato interessante cominciava questa avventura.
E’ stato un bel periodo durante il quale sono successe tante cose che a riguardarle ora quasi viene malinconia. Mano mano che i mesi sono passati molti, ma non troppi, si sono affezionati a queste pagine e il ragazzo incinto quasi si trovava a raccontare le sue storie anche per gli altri che volevano ascoltarle.
E ora ce ne sarebbe ancora da raccontare ma questo ragazzo è stanco, non trova più gli stimoli, la gravidanza è giunta ormai alle battute finali e così anche le storie sono finite.
O forse il frutto di questa lunghissima gestazione avrà ereditato la passione per il raccontare favole e anche lui deciderà di andare in giro a fare il cantastorie, non si sa, il ragazzo incinto lo lascia libero di scegliere il suo destino, magari lo seguirà con sguardo preoccupato lungo la sua strada ma mai interferirà nella sua di storia.
Forse dopo una gravidanza di tre anni il ragazzo incinto morirà durante il parto e sarà solo compito del suo frutto provare a perpetuare il suo ricordo, chi può dirlo, lo si scoprirà.
Grazie a tutti coloro che hanno contribuito a portare avanti questa esperienza, con suggerimenti, solidarietà, ispirazione, insegnamenti.
Se questa nuova vita che sta per vedere la luce sarà un po’ interessante sarà anche merito di queste persone.

Vita da nerd

1 Maggio 2007

Mentre mi arrovellavo tra antenne e campi vari la testa se n’è andata per i fatti suoi. E poi aspettavo che il buon Kristopher Tate mettesse su la nuova versione di Zooomr con le API e tutto in modo da poter salutare definitivamente Flickr. E poi intanto avevo qualche foto nuova da pubblicare di tanto in tanto. Insomma non mi scendeva che dovevo per forza metterle sia su Flickr che su Zooomr, perché a me piace più il secondo, ma il primo ha il badgettino in flash che è tanto carino. Allora ho cercato una soluzione, insomma c’è il plugin zooomrrss che è una versione modificata di flickrrss, questo prende e dispone un tot di foto leggendole dal feed. Tutto ok fin qui, ho messo qua e là qualche link a Zooomr che se lo merita e il gioco era fatto. Poi mi sono ricordato di lightbox e con mia grande gioia ho scoperto che anche in questo caso c’era un simpatico plugin, non per niente ma almeno mi sono risparmiato di mettere mani anche nell’header e compagnia bella. E poi ho lavorato, ho modificchiato zooomrrss per integrarlo con il lightbox, qualche piccolo lavoretto di Photoshop e il risultato è quello che vedere lì nella colonna di destra.
Insomma, niente di che, magari a nessuno frega niente perché semplicemente usa Flickr, ma io sono orgoglioso lo stesso del mio essere nerd e del mio badgettino artigianale per Zooomr.
Ovviamente aspettando MarkIII, che poi là sarà tutta un’altra cosa.
Nel frattempo vi consiglio di andarvi a vedere il mio Zooomr giusto per farvi venire la voglia di cambiare, lì non ci sono limiti di banda e di spazio, mica cazzi.

The game needed me

25 aprile 2007

Avevo una famiglia, avevo un lavoro, avevo tutto. Avevamo comprato una casa, l’avevamo arredata con gusto, l’avevamo riempita del nostro amore fino a quasi farla esplodere. Guadagnavo trentamila euro all’anno, non una gran somma, però uniti a quelli che guadagnava mia moglie iniziavano a formare una cifra interessante.
Il lavoro mi piaceva, non era abbastanza duro, tutti i giorni alle cinque del pomeriggio ero a casa e avevo tutto il tempo per pensare a me stesso.
Tutta questa serenità però ben presto ha cominciato a darmi alla testa, stavo impazzendo. Mia moglie era semplicemente perfetta e non c’era volta che rientrassi a casa e lei non mi desse un bacio. E io di rimando le baciavo la fronte e poi il naso e infine le labbra. Ma tutto questo avveniva sempre con minore intensità, poi addirittura la velocità della sequenza iniziò a diventare carente.
Abbiamo provato ad avere dei figli ma non ci siamo riusciti. La colpa era sua, così hanno detto gli specialisti, io l’ho abbracciata e le ho detto che non doveva preoccuparsi, che il nostro amore bastava.

Invece non è bastato e io ho cominciato a tradirla, con colleghe al lavoro, con ragazze giovani e disperate, semplicemente con donne che pagavo.
Poi ho iniziato a bere, di nascosto, avevo sempre in macchina una bottiglia di qualcosa. Bere mi dava quel pizzico di autocommiserazione che non trovavo in nient’altro, non negli amici, non nelle puttane che pagavo.
Una sera sono tornato a casa ubriaco, ci tornavo ogni sera a dire il vero da un po’ di tempo, ma quella sera di più. Mia moglie non mi venne incontro, era sul divano bianco, mi sente aprire la porta, alza gli occhi e la guardo, stava piangendo.
E allora io le chiesi perchè cazzo stesse piangendo, che mi rompevo il culo per darle quel divano e quella casa e quella vita, ma lei continuava a piangere. La afferrai per le spalle e lei si fece piccola piccola, come quando raccogli un uccellino caduto dal nido e dimenticato dalla madre. Mi guardava con occhi impauriti, ma non era solo quello, i suoi occhi erano vuoti e si erano svuotati all’improvviso, li avevo visti mentre si svuotavano.
Si liberò dalla mia presa, senza nemmeno troppo sforzo, prese una piccola valigia, di quelle che chiamano trolley, che aveva dietro il divano e il cappotto all’ingresso e se ne andò via sbattendo il portone alle sue spalle.

Nel momento in cui sono rimasto solo mi sono sentito rilassato, come se aspettassi quel momento, mi sentivo padrone della situazione, pensavo che prima o poi sarebbe tornata, che prima o poi anche io sarei tornato, in me, pensavo che tutto sarebbe tornato come prima.
Non l’ho più rivista, mai più. E di me resta un ombra, l’immagine sbiadita di quello che una volta era un uomo e che ora è semplicemente un vecchio che puzza di gin e sperma, ma non sono vecchio.
Lei mi manca, forse, mi manca la mia vita, credo, io mi manco, ecco.

Sunset boulevard

25 marzo 2007

Ho iniziato a raccogliere una serie di frasi che mi sono uscite dalla bocca. Le raccolgo fin quando saranno abbastanza. Abbastanza da poterle mettere insieme casualmente e riuscire a dare a quella matassa un forma che sia compiuta. Allora scriverò un soggetto e una sceneggiatura che comprenda tutte quelle frasi, che saranno pronunciate da un protagonista, al massimo ne cedo qualcuna a qualche altro personaggio. L’attore protagonista dovrebbe essere qualcuno non tanto bello ma con molto fascino, qualcuno tipo Noah Taylor per intenderci o anche un Santamaria o un De Rienzo per restare in Italia.
Sarebbe come sintetizzare un’intera vita, un’intera esperienza in una serie di massime che da quella vita e da quell’esperienza sono tirate fuori. Un po’ come il Film Unico che doveva essere proiettato allo Zèbre di Belleville all’interno della vicenda de Il Signor Malaussène. Provare a mettere su due ore o poco più di pellicola l’essenza di un’esistenza. Si poteva fare partendo dal video, un piccolo video ogni giorno. Si poteva partire dalle immagini, tante istantanee che avrebbero scritto una storia. Si è preferito partire dalle parole, casuali, poi ordinate per dargli delle gambe solide su cui camminare.
Sono solo progetti nati dalla mediocrità che fa a cazzotti con se stessa. Dall’esigenza di lasciare una traccia, che ossessione è questa traccia? Dall’illusione che il ricordo possa sopravvivere, come se il ricordo potesse sostituire in qualche modo una persona per quanto possa essere ricordata.
Sono solo progetti nati dal nichilismo di giornate troppo lunghe da poter essere vissute utilmente fino in fondo.

Guidare in autostrada è una cosa deprimente, colpa dell’apatia dei luoghi, che in realtà ti prende anche quando sei a piedi. Guidare in autostrada scatena l’apatia dei luoghi e la noia perché conosci precisamente qual è il punto A dai cui stai partendo e il punto B verso il quale ti stai dirigendo e se questi due punti li colleghi tanto spesso sai anche quanto ti costerà il viaggio. Certo tutto questo non avverrebbe se l’autostrada la si imboccasse giusto per farsi un giro senza destinazione ma c’è sempre il casello prima o poi da pagare che rende il tutto poco conveniente.
Allora tanto vale prendere una strada provinciale tra le colline arrossate dai raggi di un sole fuori stagione e iniziare a percorrerla senza conoscere la destinazione, solo per il gusto di osservare il paesaggio che è molto più affascinante di quello di un’autostrada anche se non ci sono gli autogrill e isoradio.
Poi la destinazione c’è e la raggiungi anche, magari consumando un po’ di benzina in più, un po’ di tempo in più, ma non ne vale forse la pena? Non era come riempire il tempo il tuo problema?
Senza dimenticare l’indiscutibile vantaggio di poter fare inversione a U non appena cambi idea, provaci sull’autostrada a cambiare idea.
Anche quando il mezzo di trasporto sono le gambe il problema è lo stesso, l’apatia dei luoghi. Così se conosci con precisione la destinazione ti capita di tenere un passo sostenuto perchè le gambe cercano di tenere il passo di una mente già proiettata verso la meta finale. Non guardi la gente che incroci, con la mente sei già arrivato ed è un peccato.
E’ che il punto di arrivo non puoi eliminarlo, fosse anche l’ignoto sarebbe pur sempre un punto, allora puoi agire sul percorso. Puoi allungarlo, complicarlo, rivoluzionarlo e mentre lo fai sei così preso a farlo che magari dimentichi anche dove stai andando.
E poi ci sono le persone che come te hanno deciso di scegliere la strada meno corta, meno facile, più intrigante. Anche loro hanno la massima importanza nel viaggio che intraprendi, possono rincuorarti quando ti sembra che una destinazione davvero non c’è, possono darti il cambio alla guida quando pensi di essere troppo stanco e aiutarti a piazzare il cric in caso di foratura. Possono rendere il viaggio unico più di quando qualsiasi strada non possa fare.
Collegare due punti non è soltanto una mera questione geometrica, non è una linea da rendere retta affinchè sia la più corta possibile. Tra i due punti c’è l’abisso, da osservare e scoprire un po’ alla volta rischiando anche di farsi inghiottire. Tra i due punti ci siamo noi e non possiamo far altro che provarci a percorrere questa distanza, la motivazione la troveremo strada facendo, chi ha bisogno di una motivazione quando ha un pugno di mesi sui quali investire nelle tasche?

Tracce di qualcosa

20 febbraio 2007

Scrivi. Mica è facile. E’ un mondo che non ti lascia il tempo per pensare alle frivolezze, materia preferita di ogni artista di qualsiasi levatura artistica e morale.
Io resto sconvolto a sapere che anche gli australiani sono diventati puritani, una poverella si ritrova sul suo aereo Ralph Fiennes che magari lo sogna da anni, il belloccio di turno decide che magari il volo è lungo è magari una piccola distrazione potrebbe aiutarlo a non pensare alla sua atavica paura di precipitare, insomma scopano. Che succede poi? Che quegli australiani della Qantas me la licenziano la giovine. Ma che ha fatto di male? Sono tempi invidiosi.
Allora dici che se sei così turbato è meglio che bevi anche se poi quando bevi parli un po’ a caso e soprattutto sei bersaglio preferito della terribile piaga del singhiozzo. Ecco che allora ti terrorizzano mostrandoti una ragazza della Florida che ha il singhiozzo da tre settimane, uno sbalzo al secondo da ventuno giorni e c’è anche uno sfortunato amico che le dona comprensione e solidarietà dicendo che lui ce l’ha da due anni. Non ho chiuso occhio per tutta la notte.
Ma poi non ci sarebbe nemmeno bisogno di giornali e televisione per turbarsi. Basta vivere, tronisti e corteggiatori sono tra noi, i giovani non si danno più gli appuntamenti ma fanno le esterne per scegliere quello/a che sarà l’uomo/la donna della loro vita entro marzo duemilasette.
Merda, io non sono migliore, ma da questo traggo la forza per produrre saggezza in pratiche confezioni di massime, piccole e utili.

Falling man

30 gennaio 2007

Noi non parliamo più, non più come una volta. Ora preferisco mettere in scena tutti questi pensieri ridicoli che mi passano per la testa in teatrini di provincia affollati da un pubblico poco esigente, che mi gratifica, che mi fa sentire come se queste non fossero solo stelle, come se fossero davvero le luci del più costoso show della storia, ma sono solo stelle.
Così ho smesso di parlarti, ho pensato che sapessi tutto di me, che non avessi più bisogno dei miei sfoghi per conoscermi. E lo vedi? Ho perso anche naturalezza, prima riuscivo a inondarti con i miei capricci da bambino viziato, un bambino che però riusciva a camminare con gli occhi chiusi e nonostante ciò a vedere lo stesso.
Ora sono lento e impacciato, provo a simulare disinvoltura e spontaneità, finendo per provare ad ingannare soprattutto me stesso.
Ma stasera ho deciso di farti delle domande, sperando che tu non sia abbastanza incazzato con me da non rispondermi. Mi va bene qualsiasi cosa, anche due stronzate per rendermi felice e mandarmi a letto.
Mi sono chiesto se fosse possibile che i pensieri delle persone anche se simili tra loro potessero non entrare in risonanza, mai, in un continuo inseguirsi senza mai toccarsi. Mi sono chiesto se i pensieri potessero chiudere gli spazi, unire i punti, serrare le distanze anche per poco tempo, non ti parlo di chilometri, mi basterebbero anche pochi centimetri a volte. Mi sono chiesto anche se i pensieri soffrono il chiuso della testa, se marciscono e con loro portano a marcire quello che c’è fuori. Mi sono chiesto se i pensieri si possono sentire dal di fuori.
Non lo so se possono fare questo ma li sto affidando a te, aspettando qualche delucidazione, ma va bene anche se me li tieni solo da parte, al sole magari, lasciandogli prendere un po’ d’aria ogni tanto.
Io intanto provo a pensare che è inutile ogni mio sforzo, perché tanto ce l’ho nella geografia il fallimento. Perché sono nato in una terra che non ha mai prodotto niente se non piccoli e volgari arbusti.
L’ultimo chi sarà stato? Forse Vico. Poi in ordine sparso una voce che non si è fatta strada perché troppo poco carina per scoparsi un artista, una reginetta di bellezza che ha avuto la sfortuna di conquistare il suo trono il giorno prima della più grande, almeno mediaticamente, catastrofe del nostro tempo e poco altro. E io cos’avrei in più per fare qualcosa di meglio?
Facciamo niente, che l’aspettativa porta ansia e l’ansia precocità, se però ti viene in mente qualcosa dimmelo, tante volte ci credo.

A mente fredda

15 gennaio 2007

Ogni tanto mi trovo steso sul letto, così quando ho poco da fare, magari a pancia piena. Mi stendo più che altro per guardarmi un po’ le palpebre, che credete, mica dormo. Così quando guardo le palpebre mi capita di pensare anche, ma dei pensieri realisti che sembrano veri, tipo sogni, ma sono sveglio, mica dormo.
L’ho sempre fatto, avete presente le mamme che si lamentano che i loro figli piccoli rompono il cazzo tutto il giorno e non vogliono mai dormire, ecco io non ero così. Sono sempre stato un estimatore del sonnellino, del pesco.
Quando tipo avevo quattordici anni mi ero messo una fotografia del mio motorino dei sogni appiccicata sul soffitto così potevo guardarla fino a quando non mi addormentavo. Succedeva che poi sognavo di comprarlo, di andarci in giro a consumare benzina, di essere bello e giovane.
A parte questo sciocco esempio in generale uno sogna sempre quello che più ha tenuto in giro per la testa durante le ore di veglia, che magari manco se ne accorge ma ha pensato alla sua ex e quando la sogna si ricorda che l’ha pensata e si incazza e si prende a martellate le palle.
Così, fedele alla mia passione per il riposo a pancia piena, ancora oggi mi metto sul letto. Il discorso che poi voglio fare io riguarda anche la notte, non per forza il giorno, ma mi è venuto in mente ora perché mi è capitato ora.
Allora appena ho smesso di guardarmi le palpebre e mi sono alzato mi è venuto in mente quello che stavo pensando fino a poco prima. All’inizio ero anche contento perché tutto sommato era una cosa bella, poi però mi sono accorto che ultimamente magari questa cosa la tengo a girare nella testa più spesso del solito, allora mi sono un po’ preoccupato.
Che poi alla fine neanche sono stato mai un grande appassionato, diciamo un sobrio estimatore, quello si. Però se faccio il conto di quante volte mi capita di pensarci forse mi rendo conto che sto diventando quasi un fanatico. La verità sta nel mezzo, perché alla fine se hai fame ti faresti anche una scorpacciata di lupini, ma è la fame a ingannarti, che poi a pancia discretamente piena qualche lupino lo mangi pure ma non esageri.
Però il succo del discorso è questo, la vita da single dicono sia bella, io la chiamerei la vita da solo comunque, per carità posso appoggiare questo punto di vista, però pure ha i suoi limiti. Perché qua mica ci sono i break di primavera e i martedì grassi con le donne che si spogliano e si concedono anche a quelli con la pancia. Qua abbiamo vinto un mondiale qualche mese fa e forse a molti di quelli che erano con me in piazza non capiterà più una cosa del genere, ma nonostante questo io non ho mica trovato qualcuna che avesse voglia di una sana scopata da campione del mondo, sai di quelle catartiche e empatiche, da orgasmo collettivo, no, non l’ho trovata. Non l’ho nemmeno cercata, però in quelle occasioni non ce ne dovrebbe essere nemmeno bisogno, almeno credo.
Sono tanti piccoli ragionamenti che mi fanno arrivare ad un dubbio. Secondo me è mica vero che ci sono cose che non si dimenticano, tipo andare in bicicletta o magari leggere. No perchè secondo me io un po’ me lo sono dimenticato, non voglio esagerare col misticismo e dire che sono tornato virgineo, e una piccola ripassatina così, ogni tanto, mi sa che la dovrei fare, giusto per rivedere gli argomenti principali.
E’ giusto un idea, così per dire. Quando mi guardo le palpebre a qualcosa devo pensare.

La terza ultima notte

7 gennaio 2007

E’ quella che non è mai cominciata perché già finita. E’ fatta da due specchi che non smetterebbero mai di guardarsi, due specchi che si infrangono alle prime luci di un nuovo giorno. E’ una creatura morta che non sarebbe dovuta nascere e che forse non è nata. Una creatura morta per troppa fame che non poteva essere saziata. E’ un aborto doloroso, inevitabile, tanto era il desiderio di una nuova vita e così poche erano le possibilità di vederla fiorire.
I due specchi si sono sfiorati, si sono specchiati, poi si sono allontanati. Nel vuoto si sono insinuate le domande e presto sarebbero sbocciati i rimpianti, ma non si poteva, troppo semplice, troppo banale.
Quella notte una ragazza ha perso un treno sotto il quale avrebbe voluto finire schiantata, quella notte un ragazzo non ha trovato niente di meglio da ricordare di un cielo all’alba dentro il quale sarebbe voluto precipitare.
Sembrava tutto così plausibile, sembrava tutto così romantico, era tutto così stupido, prevedibilmente.
Prima sono state le mani, poi gli odori, poi soltanto gli occhi, alla fine nient’altro che immagini sempre più sfocate.
Sembrava tutto così poeticamente giusto, talmente giusto che quei due ragazzi se ne sono accorti subito della stronzata che avevano appena messo in scena, se lo sono anche sussurrato.
Quando il baratro si è aperto quella notte ha provato a ricucire lo squarcio, con tutte le sue forze, senza nessuna speranza, ma non lo sapeva, non poteva.
In quel momento, quella notte ha capito che non sarebbe bastata. Non basta la notte, non sempre.

Diamonds on the inside

29 dicembre 2006

Questa pagina bianca di merda mi guarda, curiosa, severa. Vuole che la completi, che la segni con le mie parole e mi guarda. Che vuoi che ti scriva? Si, è vero, di cose da dire ne avrei, ma non è colpa mia se si perdono un attimo prima di essere sputate fuori. E’ la paura che mi fotte, le vedo le parole mettersi in cerchio intorno a me e prendermi per il culo, bastarde, mi scoprono incapace di esprimere quello che ho dentro.
Per esempio vorrei scrivere a te, dirti che mi piacerebbe che tu avessi tutto il meglio che c’è, ma poi, come al solito, mi perdo nella forma, nei dettagli, nel dubbio, ce lo metto o non ce lo metto un pezzo di me. Così non trovo di meglio da fare che bere, dico, mi verrà qualcosa fuori con più facilità, poi non mi viene, l’italiano non si vuole piegare alle mie sensazioni e allora dormo, sperando di sognarle quelle parole. Inutile parlare del risultato, nessuno.
Un po’ di maieutica, quello mi ci vorrebbe, qualcuno che sappia tirarle fuori le cose che mi galleggiano in testa, un aiuto, che cazzo. Ma evidentemente è chiedere troppo, per questo mi rassegno e parlo dell’assenza di parole, dell’assenza di azioni, dell’assenza, tutto qui.